Cesarino Piseddu, nacque a Genoni, il 2 luglio del 1902
I genitori Paolo e Mariedda Piseddu, ebbero altri 6 figli.
Trascorse la sua adolescenza, insieme ai fratelli, aiutando il padre Paolo, che possedeva un piccolo gregge di capre e al fine di arrotondare il bilancio familiare portava al pascolo anche le greggi di altri pastori. Lo scoppio della prima guerra mondiale travolse anche la sua famiglia e tra i pochi ricordi di cui parlava anche coi suoi figli, c’erano anche quelli dei fratelli deceduti: Vincenzo a causa delle ferite riportate, Flaminio travolto da una valanga.
Terminato l’evento bellico, Cesarino fu chiamato al servizio militare e venne destinato a Trieste, città da lui sempre ricordata con affetto e note di nostalgia per gli amici lasciati. Quella fu l’unica occasione in cui lasciò la Sardegna e, una volta tornato alla sua terra, iniziò quell’attività poetica che rimase fondamentalmente la sua unica ragione di vita.
Nei suoi componimenti si riflette come in uno specchio la personalità spiccata di un uomo semplice, ma sempre conscio della grande dignità della sua arte, mai scissa dal mondo del quotidiano. I suoi primi canti, infatti, li dispiegava liberamente, ragazzino, a contatto con la natura bella e selvaggia in cui, però, il contadino sardo da millenni deve lottare e soffrire per vivere.
Conosciuto per essere un uomo aperto, molto cordiale, espansivo, ma mai invadente né violento: affidava la sua forza allo sferzante verso e alla potenza della parola. Non fece mai menzione in famiglia di screzio alcuno, essendo incapace di portare rancore. I soldi, poi, non erano oggetto di particolare interesse per lui che, sì, ne guadagnava molti nelle varie esibizioni ma altrettanti ne spendeva per rallegrare gli incontri con gli amici.
Era un uomo libero dalle beghe politiche. Rispettoso e rispettato, fu alieno da qualsiasi allineamento partitico che a suo tempo gli si volle attribuire, poiché troppo amante della libertà.
Ebbe modo di cantare in varie zone dell’isola, ma le gare più frequentate erano quelle dell’Oristanese. Fu a Oristano, Cabras, Ortueri, Mogorella, Samugheo e poi nella zona di Atzara, Desulo, Belvì, Tonara, ancora a Sorgono, Laconi, Gesturi, Nuragus, per scendere fino a Lunamatrona, Barumini, Nuraminis, Serramanna, Serrenti, sebbene il Campidano di Cagliari sia stato meno frequentato rispetto ad altre zone, anche per il diverso modo di cantare ivi diffuso.
Cesarino compiva il suo apprendistato tra il primo e il secondo decennio del ‘900. Agli inizi degli anni ‘20 abbiamo testimonianze di un suo già avvenuto inserimento nella cerchia dei cantadores dai quali era apprezzato malgrado la sua giovane età. Infatti, come ricordato dai relatori, nel 1925, in occasione della festa di S. Barbara i poeti Giovanni Trudu e Pietro Maxia di Las Plassas così cantavano:
Trudu: “De sa vida de Santu Efisiu/ tentu nd’ap’unischitzu/chi siat precisu creu/ dd’apu inténdiu in bidda strangia/ ma giurai non di giuru/e non ddu pozzu giurai. A portai castangia a Aritzu/ deu puru mi seu arrisiu”.
Gli rispondeva Mascia:
“Beneditas santas dimoras/ de vicinu e de addei/ meritas a ti ‘onai vantus/ ca c’est Piseddu de Geroni/ in su mutetu ritrogau/ su prus modernu cantanti/e Deus ti donghit fortuna./ Po una processioni in Gergei/ anti portau Santus de foras”.
Questi versi venivano ricordati spesso dal Piseddu e attestano come a quell’epoca, seppur giovanissimo, fosse riconosciuto e apprezzato da poeti già affermati che ne intravedevano le capacità innovatrici, molto tempo dopo riconosciute dalla critica; infatti solo nel 1984, ad opera di Faustino Onnis, viene affermato che:
“In su propriu tempus, in is passadas de sa Trexenta fiat nascia, po bolla de Pietrinu Maxia de is Prazzas (Las Plassa), Giuanniccu Trudu de Nuragus, Cesarinu Piseddu de Geroni e Umbertu Sanna de Siurgus Donigala, un’atera scola poetica, sempiri de cantu repentinu, chi mirada però a una crescina de su muttettu, in sa stèrrida e in sa crobetanza, cund’una arretroga prus traballosa de rimas…“[1].
Comunque, già un anno prima dei citati versi, nel 1924, usciva, Modellos sardos, stampato ad Oristano dalla Ditta Pagani (opuscolo di 16 pagine), in cui si evidenzia un’attività poetica già avviata e stretti rapporti professionali con Franziscu Demara di Nuragus, invitato, con un componimento a corona intrecciada, a partecipare alla festa di S.Maria.
La produzione del ventennio è ricca dal punto di vista metrico e contenutistico e mostra un artista che ha già acquisito stile e tecnica e li padroneggia con sicurezza e arditezza. Infatti, allo stesso anno 1924 risalgono componimenti manoscritti e la minuta dellacorona al Demara, in cui si possono notare le correzioni apportate e alcune differenze rispetto al testo edito (riferite non solo a varianti grafiche, ma addirittura a un’intera strofa totalmente diversa tra testo a stampa e manoscritto).
Tale tipo di componimento, accanto a altri schemi di modellus, a goccius, sonetti (italiani e sardi), muttettus e ottave (in italiano e in sardo), appunti di storia sacra del Vecchio Testamento, sembra essere stato uno dei suoi preferiti, in cui faceva sfoggio dell’arte deltrobear, con largo uso dei versus transformati e con introduzione, talora, di ulteriori versi nel ritornello, aggiungendo così parole-rima nuove a quelle già presenti.
L’arditezza e l’originalità delle composizioni metriche può essere testimoniata sia dall’aggettivo modernu attribuitogli da Maxia, sia dal commento del Demara, quando affermava:
“Piseddu ses poete gagliardu
de testa ona, chi faghes riflette,
Piseddu ses gagliardu poete,
chi faghes riflette testa ona,
ma narami:- su modellu corona
est cosa chi tue cheres inventare?”
Tanti sono stati i poeti con cui Piseddu ha cantato, tra i quali sono stati ricordati, senza voler fare torto ad alcuno se non è stato possibile nominarli tutti: Franziscu Demara di Nuragus, Giovanni Trudu di Nuragus, Peppino Casu di Nureci, Deiola di San Vero Milis, “Bertuledda” di Meana Sardo, Pietro Maxia di Lasplassas, Domenico Cuccu di Villa S. Antonio, Peppe Demuro e Gabriele Pili di Santa Giusta. Pure conobbe la poetessa Mercede Mundula, che aveva famiglia a Gergei (ove lui era sposato) e che ebbe modo di ascoltare sicuramente le sue poesie, ma allo stato attuale delle conoscenze non ci è dato sapere se vi siano state delle influenze.
Morì il 31 marzo del 1977.
[1] Onnis F., Luiginu Congia, in S’Ischiglia, anno 5, n. 1, gennaio 1984, inserto, p. II.
Katia Debora Melis
Testo tratto da Làcanas n. 28 – Settembre – Ottobre 2007
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